Nel Museo della ceramica di Cutrofiano erano presenti, sin dal 1985, un consistente numero di fischietti; molti dei quali, in linea con la visione glocal del museo, di provenienza locale.

Non esistevano nella zona di Cutrofiano e nei paesi limitrofi (almeno per quanto se ne sappia); i cosiddetti “pasturari” (termine preso a prestito dal dialetto grottagliese); cioè quegli artigiani dediti esclusivamente alla modellazione, oltre che di fischietti ed altri giocattoli per bambini, anche di statuette di santi e pupi di presepe.

A Cutrofiano si occupavano della produzione dei fischietti gli stessi fabbricanti di vasi, specialmente quelli più anziani; questo avveniva proprio perché tale mercato era considerato secondario dalle botteghe ceramiche del posto che si occupavano maggiormente della produzione di vasi, di materiale da costruzione e di ceramica d’uso.

Questo stato di cose ebbe fine quando, nella seconda metà dell’Ottocento, si trasferì a Cutrofiano il grottagliese Pasquale Galeone; un “pasturaro” la cui opera è stata portata avanti prima dal figlio Vincenzo e poi, di generazione in generazione, fino a tempi recentissimi. Non a caso la famiglia Galeone era soprannominata “Pingisanti” (cioè dipingi santi, termine più correttamente traducibile in decora santi, che ha, per il dialetto della zona una duplice valenza: pittorica e scultorea), Chissà se questo termine esistesse già prima dell’arrivo della famiglia Galeone o se sia stato appositamente inventato.

Di opere di Vincenzo Galeone, all’interno della collezione del museo, c’è un solo esemplare a forma di uccello, che si distingue nettamente dagli altri sia per una modellazione più accurata che perché variopinto e con delle piume inserite al posto della coda.
I fischietti locali invece erano acromi oppure ricoperti, per immersione, di un unico colore, per lo più il bianco, ma soprattutto modellati in modo sommario.

Le forme erano il gallo o il cavallo, di cui però era resa solo la parte anteriore, come si può vedere in due esemplari, piuttosto vecchi, provenienti dalla bottega Colì (ancora in attività).

Questa tradizione costruttiva è stata portata avanti fino a tempi recenti da Giuseppe Colì (Ppinu Rizzu), scomparso da qualche anno, il quale, abbandonata l’attività di ceramista per problemi fisici, si è dedicato per molti anni esclusivamente alla modellazione di fischietti e pupi da presepe, che forniva alle botteghe del paese.

Seguendo la  tradizione li modellava a mano con pochi, magistrali tocchi e questo conferiva ai personaggi un aspetto solo abbozzato, ma estremamente vivace ed espressivo. Soprattutto con lui i fischietti acquistano una incredibile varietà di forme, con svariati tipi umani e, soprattutto, innumerevoli specie di animali: dai diversi, e più tradizionale, tipi di volatili; ai cani, gatti, volpi, scoiattoli e perfino animali esotici come scimmie e coccodrilli.

Un discorso a parte va fatto per Vito De Donatis, per il quale la produzione di fischietti assume un aspetto tutto sommato marginale all’interno di una produzione molto più vasta. Anche lui, a causa degli acciacchi dovuti all’età, aveva lasciato la produzione della bottega al figlio Salvino (ancora in attività), dedicandosi sempre più alla modellazione di piccole figure, manifestando una incredibile abilità e creatività.

I fischietti erano un articolo da fiera: si vendevano come gli altri giocattoli la mattina della festa, mentre nel pomeriggio sulle bancarelle si esponeva il vasellame comune. Anzi le diverse manifestazioni si legavano particolarmente ad un determinato oggetto: i fischietti andavano particolarmente nella fiera di Sant’Irene a Lecce e della Madonna della Luce a Galatina, le campanelle alla fiera dell’Addolorata a Maglie e della “Cappeddha” a Taviano, le trombe erano particolarmente legate alla festa di San Rocco a Torrepaduli dove si svolgeva la più grande fiera del bestiame e il più imponente raduno di suonatori di tamburello e danzatori di danza scherma.
Il fischietto era dunque un giocattolo destinato ai bambini. Non se ne ricordano altri usi, tranne forse solo  per un particolare tipo, riservato ai cacciatori, che riempito d’acqua, emetteva un trillo e funzionava da richiamo per gli uccelli.

Ma già il legame con la festa può nascondere un elemento di ritualità, un residuo dei significati simbolici che questi piccoli oggetti possono aver avuto in passato.

Quale significato può aver rappresentato il legame del fischietto con quella particolare festa e quel particolare santo? Questo discorso va visto in una dimensione storica e antropologica ampia; poiché spesso il santo e la sua festa sono diretta emanazione di precedenti culti pagani; non si può dimenticare che la Puglia salentina è la terra del tarantismo; fenomeno legato ai culti dionisiaci e ad una idea taumaturgica del suono e della musica.

Ma forse basterebbe la grande diffusione del fischietto in tutte le culture e le zone del mondo, come si può vedere nella collezione del museo della ceramica di Cutrofiano, fin da tempi antichissimi, a dimostrare che non può trattarsi solo di un  giocattolo per bambini. Alcuni significati possono essere rivelati anche dalle forme che essi assumono più frequentemente. Per fare un esempio è interessante vedere come forme quali l’uccello e il gallo, considerati simbolo di fertilità (In Puglia non a caso un fischietto a forma di gallo veniva offerto in dono alla fidanzata o alla sposa); ricorrano in culture non soltanto diverse, ma anche lontanissime geograficamente tra loro.
Visitare il museo della ceramica di Cutrofiano e la sua collezione di fischietti, è pertanto una esperienza che, grazie ai suoi moltissimi livelli di lettura, può fare lo studioso come il bambino (che resterà senz’altro affascinato e divertito dalle stupende e coloratissime forme dei fischietti); e questo perchè tutti noi, attraverso questi piccoli manufatti, possiamo trovare qualcosa della nostra storia di uomini ma anche qualcosa che più profondamente fa parte di noi stessi.